Le Iscrizioni

L’ultimo gesto per la scrittura dell’icona è costituita dall’“iscrizione”: l’iconografo scrive il nome del personaggio o della festa rappresentanti nell’icona. Questa scritta, suggellando la fedeltà dell’icona al prototipo, dichiara che quanto visibile in immagine è realmente presente e partecipe della liturgia celeste. Le iscrizioni sulle antiche icone, in greco o in slavo ecclesiastico, presentano frequenti abbreviazioni e la loro interpretazione richiede una certa esperienza dell’argomento. La forma delle lettere, soprattutto nelle icone russe, varia notevolmente a seconda delle epoche. Nel XII secolo, per esempio, i caratteri erano molto semplici; nel XIV secolo appaiono assai più massicci e monumentali, con linee verticali accentuate che ritmano fortemente l’iscrizione; nei secoli XV-XVI diventano più esili, mentre va diffondendosi una scrittura corsiva leggermente inclinata verso destra. La Scuola degli Stroganov farà sempre uso di una forma di scrittura arcaica, con caratteri alti e intrecciati fra loro. Nel secolo XVIII i caratteri restano alti, ma con verticali molto fitte e spesse. Risulta quindi utile, al fine di datare un’icona, osservare la forma dei caratteri usati per l’iscrizione, purché naturalmente quest’ultima non sia stata aggiunta successivamente, in occasione di un restauro. Quando l’ultimo tocco di pennello è stato dato si procede alla “verniciatura” dell’icona, operazione che ha lo scopo di fissare saldamente al sottostante supporto di legno, tela e fesso lo strato superficiale dei colori, oltre che di proteggere la pittura da polvere e agenti atmosferici.

Viene impiegata una vernice grassa, la cui ricetta è stata conservata per secoli nei monasteri dell’Athos, a base di olio di lino cotto con aggiunta di resine e Sali minerali, che prende il nome di olifa. Poiché con il trascorrere del tempo questa vernice tende ad annerire, le icone antiche e vecchie risultano tutte di colorito molto scuro, tanto che in passato si riteneva che questo fosse il loro aspetto originario; i primi restauri scientifici eseguiti all’inizio del Novecento hanno rivelato al mondo intero la gioiosa vivezza degli splendidi colori del passato. Tutto il lavoro descritto non basta di per sé a realizzare veramente un’icona: senza la benedizione avremmo solo un pezzo di legno dipinto. È l’opera dello Spirito, attraverso la Chiesa, che rende quel legno dipinto un “sacramentale”, veicolo efficace della grazia divina, segno vivo di Dio e presenza del suo volto. L’icona è ora offerta alla venerazione del popolo di Dio. Per costruirla sono state impiegate obbedienza, perizia, esperienza e genialità. Ma soprattutto occorrono ascesi spirituale, umiltà e viva fede, sorrette dalla comunità dei credenti. Il pittore sa di aver solo “prestato le mani” al Signore affinché egli si manifestasse, sa di aver compiuto un servizio, di aver risposto alla sua vocazione. Ecco perché non firma l’opera: tutto ciò che in essa è detto non è “suo”, ma appartiene all’eterno mistero di Dio che egli ha contribuito a rendere più vicino all’uomo.