Iconostasi e calendario ortodosso

“L’iconostasi è la visione. L’iconostasi è la manifestazione dei santi e degli angeli – un’angelofania, una manifestazione di celesti testimoni, e soprattutto della Madre di Dio e del Cristo nella carne, testimoni i quali proclamano ciò che, visto da quel versante, è carnale. Iconostasi è i santi. E se tutti gli oranti nella chiesa fossero abbastanza ispirati, se gli oranti fossero tutti veggenti, non ci sarebbe altra iconostasi all’infuori degli stanti testimoni di Dio a Dio, mercé i loro sguardi e le loro parole annuncianti la Sua terribile e gloriosa presenza; neanche la chiesa ci sarebbe.”
P. Florenskij, Le Porte regali, p.57

ICONOSTASI

L’iconostasi, elemento caratteristico della chiesa ortodossa, è una barriera lignea, ricoperta da icone e segnate da tre porte. Il termine di origine greca che lo definisce luogo di collocazione delle icone, descrive solo la sua funzione esteriore. L’iconostasi racchiude l’espressione pià compiuta e spiritualmente più densa de cristianesimo orientale. L’iconostasi non è un semplice arredo liturgico e deve essere compresa all’interno della visione simbolica del tempio, essa costituisce un grande segno della Presenza divina in mezzo al cosmo e all’umanità. L’iconostasi distingue simbolicamente i due mondi, quello celeste del santuario in cui viene celebrata la liturgia, e equello terreno della navata della chiesa, in cui i fedeli partecipano al mister. Il suo significato era stato spiegato dai Padri della Chiesa on come una separazione, ma come una forma di unione tra le due parti della chiesa. Simeone di Salonicco così scrive: “Sull’architrave, sulle colonne, al centro delle sante icone, si rappresenta il Salvatore e , al suo fianco, la Madre di Dio e il Precursore, gli angeli, gli apostoli e gli altri santi. Questo ci insegna che Cristo è contemporaneamente in cielo con i suoi santi e con noi adesso, e che Egli deve ancora venire”. E ancora, cinque secoli dopo, padre P. Florenskij riflette: “Data l’impotenza della vista spirituale degli oranti, la Chiesa avendo cura di loro, è costretta a soccorrerne la debolezza spirituale: queste visioni celesti,chiare, serene, splendenti, essa segna trascrive materialmente, ne coglie tracce col colore. Questa gruccia della spiritualità, l’iconostasi materiale, non cela qualcosa ai fedeli – un qualche mistero interessante e arguto, come per ignoranza e amor proprio taluni hanno sostenuto, ma anzi addita ad essi, mezzi ciechi, il mistero del santuario, dischiude ad essi, storpi e sciancati, l’ingresso nell’altro mondo, a loro, chiusi della loro indolenza, grida nelle sorde orecchie l’annuncio del Regno dei ciel, dopo che essi hanno mostrato d’essere inaccessibili ai discorsi fatti con voce normale”.

LE GRANDI FESTE

Il ciclo delle grandi feste, noto con il termine greco Dodekaorton, ossia le “Dodici feste”, raggruppa le principali festività liturgiche dell’anno, che celebrano gli avvenimenti più importanti della vita di Gesù, della Madre di Dio o della storia della Chiesa. Sono eventi festeggiati della Chiesa con particolare solennità, come tappe dell’azione provvidenziale di Dio nel mondo, realizzazione progressiva del disegno divino. La successione delle feste, come è attestata sia nelle fonti scritte medioevali, sia nell’arte, nella maggior parte dei casi segue la cronologia del racconto evangelico: la nascita della Vergine e la sua infanzia, le vicende della vita terrena di Cristo, la passione, gli eventi dopo la morte. Questo principio era abbastanza radicato ad esprimere la mentalità bizantina stessa. Le feste sono articolate in quelle a data fissa e quelle a data mobile variabile in rapporto alla Pasqua. Le grandi feste sono divise inoltre in quelle dedicate alla Madre di dio e quelle di Cristo. Le grandi feste dedicate alla vita di Gesù sono chiamate le “feste del Signore”. Ogni festività ha una propria immagine, detta canone iconografico, ossia un modulo figurativo, elaborato in base ai testi delle Sacre Scritture, alle opere dei Padri della chiesa, ma soprattutto ai testi degli uffici liturgici delle feste che uniscono tutte queste fonti e contemplano l’evento. Nel giorno della memoria liturgica della festa l’icona corrispettiva viene esposta su un leggio speciale in mezzo alla chiesa e viene offerta alla contemplazione e al bacio dei fedeli. La celebrazione liturgica delle feste nella Chiesa orientale è molto solenne. Alcune sue parti sono cantate e questo infonde una particolare atmosfera di gioia, nella celebrazione. Altri elementi, quali incensazioni, accensione di ceri, benedizioni e processioni del celebrante, aggiungono una nota di bellezza, elevano i fedeli presenti e li coinvolgono emotivamente.
Il luogo privilegiato delle icone delle feste in una chiesa ortodossa è l’iconostasi, la parete ornata di icone che divide il santuario della navata.

ICONE DOMESTICHE

Una suggestiva testimonianza del culto domestico sono le cosiddette “icone di famiglia” tavole che raccoglievano, sulla base del desiderio del committente, uno o più soggetti iconografici, quasi sempre immagini della Madre di Dio o festività, e figure di santi. Le immagini mariane venivano di norma scelte fra le maggiormente onorate nella famiglia del committente; il criterio di scelta dei santi poteva rispondere alla volontà di ricordare particolari date, oppure i santi patroni personali, protettori e quasi sempre omonimi del committente e dei suoi famigliari o, ancora, momenti significativi nella vita di una famiglia.

MENOLOGIO

Il termine Meneo (o Menologio) indica una raccolta di vite di santi ripartite secondo l’ordine del calendario ecclesiastico. L’icona menologica costituisce in pratica l’illustrazione del calendario liturgico: viene generalmente appesa o collocata su un leggio all’ingresso della chiesa, in modo da presentare visivamente ai fedeli i volti e le opere dei santi che la Chiesa propone alla venerazione.
Attraverso la complessa iconografia presentata dall’opera in questione, si svela il dispiegarsi del mistero trinitario nella storia della Chiesa: il tempo non è più sentito come una linea che conduce inevitabilmente al nulla, ma come un continuo ritornare del transeunte in seno all’eterno, una continua rigenerazione della vita da parte dell’amore che l’ha chiamata all’essere e la attende per compierne il destino eterno.