Descrizione
DESCRIZIONE: La Trasfigurazione del Signore appartiene alle dodici grandi feste dell’anno liturgico ed è descritta nei Vangeli (Mt 17,1-9; Me 9,2-13; Le 9,28-36). «Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosé e discorrevano con Gesù». La laconicità del testo evangelico e la mancanza di altre fonti letterarie erano probabilmente determinanti per il fatto che lo schema compositivo della festa, a partire dal VI secolo, rimanesse fondamentalmente invariato. Cristo veniva raffigurato in un’aureola della gloria sulla cima del monte Tabor, e ai suoi lati, sulle vette dell’Oreb e del Sinai apparivano i profeti Elia e Mosé, che secondo il Vangelo conversavano con Gesù testimoniando la sua teofania.
Nell’icona in esame Cristo trasfigurato appare nell’aureola scura (la tenebra “luminosa”), benedicendo con ambedue le mani. Il suo chitone di porpora e l’imatio di color smeraldo sono pervasi della luce la quale con ampi colpi illumina la sua figura. Le vesti risplendenti simboleggiano la natura divina del Salvatore. Tre forti raggi di luce rossa sono il simbolo dell’energia divina che volge verso il mondo e le sue creature. Nei tre raggi si manifesta la Trinità. Ai lati di Cristo si presentano, anche essi sulle vette delle rocce, il profeta Elia a sinistra e il profeta Mosé con le tavole della Legge in mano a destra; sono rivolti verso il Salvatore in atteggiamento di venerazione. La zona inferiore della scena è occupata dagli apostoli che «caddero con la faccia a terra», impauriti, non potendo sostenere lo splendore accecante. In alto a sinistra è visibile il lembo del cielo con la stella che emana la luce.
Tutta l’icona è pervasa dalla luce della Trasfigurazione. I mistici esicasti basavano la loro dottrina dell’energia divina su questa luce, chiamandola la «luce taborica». Il colore rosso del lembo del cielo è lo stesso dei raggi che si sprigionano dalla figura di Cristo. Secondo gli esicasti, il rosso significava l’energia divina attraverso la quale Dio, inconoscibile nella sua essenza, si manifestava nel mondo. Dopo il concilio del 1351 l’insegnamento degli esicasti sulla luce taborica divenne la dottrina della Chiesa ortodossa. Gregorio Palamas (morto nel 1359), uno dei maggiori esponenti dell’esicasmo bizantino, così definisce il significato della Trasfigurazione nella dogmatica cristiana: «Dio è chiamato Luce non per la sua natura, ma per la sua energia… la Luce divina è incorporea, nella luce che illuminò gli apostoli sul Tabor non vi era nulla di sensibile». La tavola proviene indubbiamente dal registro delle Feste di un’iconostasi di buone dimensioni. Nella maniera pittorica dell’icona si sentono fortemente le tradizioni iconografiche tipiche dell’arte del tardo XVII secolo: in primo luogo nel sistema di pittura del panneggio, che presenta un modellato con uno spiccato chiaroscuro, ottenuto attraverso schiariture abbastanza sfumate, che costruiscono però nitidamente la forma. La tavola si presenta in ottimo stato di conservazione.